La differenza tra Next Generation Eu, Recovery Plan e Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
L’Italia è la maggior beneficiaria del programma Next Generation EU, il cui obiettivo è rilanciare l’economia dei Paesi europei – specialmente quelli maggiormente colpiti dalla crisi post pandemica – all’insegna della sostenibilità e dell’innovazione, nell’ambito della transizione ecologica e digitale.
Nel linguaggio comune, spesso, sfugge la differenza tra Next Generation EU e Recovery Plan: semplificando, si può dire che il primo è il programma europeo di lungo termine per garantire sostegno alla ripresa dei Paesi UE; il secondo termine fa invece riferimento al piano con cui ogni stato membro ha presentato la propria proposta di spesa di tali fondi all’Unione Europea.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è invece il programma di riforme e investimenti presentato dall’Italia del Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi per accedere ai fondi europei messi in campo.
PNRR: La road map
Dopo l’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il Governo italiano ha firmato un Operational Arrangement (OA) con la Commissione Europea, definendo gli impegni presi e i tempi di ottenimento dei pagamenti europei subordinati ai risultati conseguiti. Al fine del raggiungimento degli obiettivi e dell’ottenimento dei fondi, l’Unione Europea ha previsto una serie di riforme verticali – nei singoli settori, dalla giustizia alla scuola alla pubblica amministrazione – e di riforme orizzontali, che invece abbracciano trasversalmente più aree di intervento.
Nella prima fase di attuazione del PNRR, destinata a concludersi nel dicembre 2022, gli impegni hanno avuto e avranno una natura prevalentemente legislativa e regolatoria: attraverso iter parlamentari e amministrativi si sono approvate e si approveranno infatti riforme relative agli asset che ostacolano la ripresa economica.
La fase prettamente operativa inizierà nel 2023, quando saranno implementate le riforme e saranno realizzati gli investimenti necessari al raggiungimento degli obiettivi. Ciò non significa che i primi progetti del PNRR non siano già partiti: sono già da mesi attivi diversi bandi, che vanno dal potenziamento dei servizi educativi alla raccolta differenziata, passando per l’ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche di innovazione e il rilancio dell’attrattività dei piccoli borghi.
Le missioni del PNRR e l’impatto sull’occupazione
Come è noto, il PNRR italiano si articola intorno a sei missioni: 1) Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; 2) Rivoluzione verde e transizione ecologica; 3) Infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4) Istruzione e ricerca; 5) Inclusione e coesione; 6) Salute.
Secondo Randstad, se le sei missioni del PNRR saranno portate a compimento, da qui al 2026 l’Italia avrà 730mila nuovi posti di lavoro, di cui 381mila per le donne e ben 132mila per i giovani, con un impatto totale del +3.2% sul tasso di occupati. Gli effetti più forti saranno generati dagli investimenti per la transizione digitale – che da sola porterà 200mila posti di lavoro – e dalla rivoluzione verde, che ne porterà oltre 182mila. Di uguale robustezza sarà l’occupazione determinata dalla Missione 1, con una crescita degli occupati stimata intorno alle 205mila unità.
Si comprende così la crucialità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: ecco perché il 2022 risulta particolarmente delicato, precedendo la fase già definita come prettamente operativa. Per l’accesso alle risorse europee, infatti, l’Italia dovrà assicurare il rispetto di ben 102 condizioni, oltre che l’approvazione di leggi delega da attuare sulle riforme. Un impegno importante, da portare avanti mentre il contesto nazionale e internazionale si complica a causa dell’impennata dell’inflazione e il drastico e preoccupante aumento del costo dell’energia.
La governance del PNRR. Quale sarà il ruolo delle imprese? E come accedere ai fondi e ai progetti?
Il PNRR ha previsto un articolato sistema di governance: assieme alle amministrazioni centrali dello Stato, sono chiamati infatti ad operare gli enti territoriali in qualità di soggetti attuatori e di fondamentale punto di contatto con il tessuto economico del Paese. Ma quale sarà il ruolo delle imprese nell’attuazione del PNRR? Come potranno queste contribuire alla riuscita del Piano, ottenendone crescita e sviluppo? Ricordiamo infatti che siamo di fronte al più massiccio programma di investimenti della storia europea, ricco di possibilità e opportunità senza precedenti, soprattutto per un Paese come l’Italia che ha conosciuto un periodo non breve caratterizzato da stagnazione e recessione economica. Un’occasione imperdibile, che se mancata avrà il solo effetto di lasciare alle nuove generazioni un debito pubblico insostenibile e un Paese non più in grado di competere a livello internazionale.
Sorgono, a questo punto, diversi interrogativi e spunti di riflessione. Il primo dato che è possibile rilevare, a mesi dalla partenza dei primi progetti, è che l’ampiezza e la complessità degli interventi del PNRR ha già posto non poche difficoltà interpretative per coloro interessati ad accedere alle opportunità esistenti. Data l’articolazione delle procedure, appare corretto supporre che solo le aziende più grandi e strutturate avranno la possibilità concreta di partecipare ai bandi. Questo perché l’accesso alle risorse europee richiede una capacità di pianificazione, programmazione e gestione dei progetti che non può sicuramente essere improvvisata dalle piccole e piccolissime aziende che caratterizzano il tessuto economico e sociale italiano. Si aggiunga che i tempi che intercorrono tra la pubblicazione dei bandi e i termini di presentazione dei progetti sono spesso stretti, non ammettendo ritardi ed errori. Come bilanciare, però, la necessità di non avvantaggiare solo i big – con particolare riferimento alle multinazionali – e allo stesso tempo di non parcellizzare le risorse disponibili?
Se il PNRR non sarà in grado infatti di coinvolgere il tessuto sociale ed economico del Paese, fatto per la maggior parte di piccole e medie imprese, allora l’effetto moltiplicatore da tutti invocato difficilmente si attiverà e i risultati non potranno essere quelli attesi. Una possibile soluzione può essere individuata nell’aggregazione delle PMI, le quali potrebbero attivare esperienze di condivisione e partecipazione che potrebbero durare anche una volta esaurita la scia del PNRR. Ciò che appare fondamentale è, in definitiva, l’individuazione di un corretto bilanciamento in cui non solo i grandi possano beneficiare del PNRR e le risorse non vadano frammentate nel variegato tessuto imprenditoriale del Paese.
La necessità di organizzarsi, di partecipare correttamente e tempestivamente ai bandi – senza possibilità di proroga – potrà effetti positivi di lungo termine sull’Italia, trasmettendo una cultura organizzativa che se mantenuta potrà essere un prezioso tesoro per il futuro.
Come si è detto in precedenza, spendere male i soldi del PNRR provocherebbe effetti disastrosi, dalla perdita della competitività internazionale a un debito pesantissimo per le nuove generazioni. Ecco perché per la buona riuscita del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza occorre ripartire da un nuovo patto tra pubblico e privato, in grado di connettere grandi aziende e piccole imprese, centro e periferia del Paese. Solo la collaborazione virtuosa di tutti gli attori impegnati nel processo di implementazione del Piano potrà portare ai risultati sperati.
Il ruolo della formazione
Gli obiettivi appena discussi sono, senza dubbio ambiziosi. Per portarli a termine, però, non può essere tralasciato il ruolo cruciale che svolgerà la formazione, in particolare quella rivolta ai dipendenti della Pubblica amministrazione. Una formazione rivolta a utenti di età medio-alta, non avvezzi particolarmente ai temi dell’innovazione. Tuttavia, appare fondamentale sottolineare come non si possa immaginare di lasciare indietro la formazione del settore privato, che come ripetuto più volte deve rappresentare il vero motore della trasformazione socio-economica italiana. Serve una visione di ampio respiro: ecco perché negli interventi del PNRR occorre chiarire quali strumenti saranno rivolti alla formazione dei dipendenti privati. Altrimenti, ogni risultato ottenuto sarà parziale. Le nuove tecnologie e la digitalizzazione dovranno essere il motore del cambiamento, e solo se conosciute potranno supportare la trasformazione che si immagina per il Paese nel prossimo decennio. Non a caso, la Missione 1 del PNRR è specificatamente rivolta questo.
Senza formazione non c’è crescita e sviluppo: abbiamo l’occasione di fare un passo avanti, e non possiamo indirizzare gli sforzi solo alla formazione e allo sviluppo della Pubblica amministrazione – che riveste un ruolo ovviamente centrale, anche al fine di favorire una maggior coesione tra pubblico e privato. I nuovi strumenti devono arrivare a tutti, perché solo così aiuteremo il tessuto economico a riprendere vitalità e iniziativa: solo così si avvierà il cambiamento.
Federica Palladini, Projectland
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