In questo articolo scopriremo cos’è e quali sono gli effetti del principio di riprova sociale di Robert Cialdini, interrogandoci sulle conseguenze dell’applicazione di questo nel mondo dei social network.
Tra follower, visualizzazioni e recensioni: la condanna della riprova sociale
Chiunque conosca dei ragazzi preadolescenti o adolescenti avrà potuto notare quanto alcuni parametri social (follower, visualizzazioni, recensioni e via dicendo) siano per loro fondamentali per valutare e giudicare qualsiasi cosa. Se gli strumenti sono relativamente nuovi, non lo è il principio: in quell’età è normale sperimentare una sorta di desiderio di omologazione rispetto a ciò che fanno i propri coetanei.
Ma la dinamica non coinvolge solo i nostri ragazzi. Quante volte, prima di acquistare un prodotto online, analizziamo punteggi e recensioni per comprendere quale sia la scelta giusta? Quante volte abbiamo deciso di andare in un dato ristorante dopo essere stati catturati da decine di stories su Instagram?
Le stesse domande possono essere poste al contrario. Quante volte abbiamo modificato la nostra opinione – in negativo – su un prodotto/servizio/luogo dopo aver scoperto il nostro disaccordo con il popolo della rete? Ebbene, questi effetti possono essere efficacemente descritti dal principio della riprova sociale di Robert Cialdini.
Che cos’è il principio della riprova sociale di Robert Cialdini
Il principio di riprova sociale è stato magistralmente descritto dallo psicologo americano Robert Cialdini nel suo “Le armi della persuasione”. Il principio di riprova sociale ci dice in modo banale come, prima di fare qualcosa, guardiamo a ciò che fanno gli altri. Si tratta, a ben vedere, della base del fenomeno psicologico-sociale alla base delle mode. Secondo questa teoria, tendiamo statisticamente (e inconsapevolmente) ad aderire ad una proposta se questa è condivisa da un gran numero di persone. Nella pratica, si tratta di adottare una scorciatoia mentale.
Se non ho gli strumenti – o mi costa acquisirli – per valutare un prodotto, un servizio o quant’altro, potrò basarmi semplicemente sul comportamento e sulle scelte di persone a me simili. Il presupposto di fondo è che – salvo eccezioni – il gregge non sbaglia. Niente di così nuovo e sconvolgente, si potrebbe dire.
Eppure questi fenomeni che non ci possono lasciare indifferenti: tra social, web, tv e marketing, siamo continuamente esposti a stimoli che guidano – o condizionano? – le nostre scelte. Se si assume un candidato sulla base dei follower che ha su LinkedIn, se si sceglie un dermatologo per i suoi coinvolgenti reels divulgativi su Instagram, allora forse si sta andando oltre il principio di riprova sociale descritto da Robert Cialdini.
Il mix di distrazione e pigrizia, di vita trascorsa sui social e di cultura della recensione (tutti possono dire tutto a tutti su tutto) sta creando delle dinamiche che, nell’apparente libertà di scelta, limitano il libero arbitrio e la capacità di decidere in autonomia.
Tutto è in vetrina, accompagnato da rating e punteggi che sembrano indicarci la via della certa soddisfazione. Un conoscente ci indica un prodotto che ha acquistato e di cui è soddisfatto; arrivati su Amazon per acquistarlo, scopriamo che il prodotto ha un rating inferiore rispetto ai competitor. Di chi ci fideremo?
La differenza col passato è che l’acquisizione della riprova sociale era molto più faticosa. Bisognava chiedere, parlare, telefonare, leggere, ascoltare prima di arrivare a capire qual era il miglior dermatologo del quartiere. Processi magari lunghi, ma che arricchivano il processo decisionale di sfumature e considerazioni. Per carità, anche in questo caso ci si affidava alla riprova sociale, ma alla fine la risposta era più responsabile e ponderata, mediata dal gruppo dei pari. Il dermatologo che sa usare benissimo Tik tok per divulgare contenuti medici sarà altrettanto abile nelle diagnosi? Sarà disponibile e reperibile in caso di urgenze?
A questo punto la domanda quasi filosofica diventa “siamo liberi? Siamo in grado di difenderci dal condizionamento degli altri?” La risposta è aperta. Ci sono almeno tre considerazioni che, a mio parere, dovremmo fare:
1) Anche nel mondo delle recensioni facili, abbiamo bisogno di allenare il nostro spirito critico
Il nostro intuito e la nostra intelligenza sono muscoli, e meno li usiamo più si atrofizzano. Qualcuno direbbe: se un servizio che cerco è affermato sul web e sui social, perché dovrei perdere tempo in ulteriori approfondimenti? Meglio godersi il proprio tempo e continuare la nostra “caccia” social. Bene, ma così facendo sto atrofizzando il mio spirito critico e la mia capacità di intuizione. Si tratta di doti non replicabili, neanche dall’intelligenza artificiale, e di cui abbiamo disperatamente bisogno nelle variegate situazioni personali e professionali che ci capitano nella vita.
2) Sei bravo perché hai dei follower o hai dei follower perché sei bravo?
Il mondo dei social media non è per tutti. Non basta alzarsi, pubblicare il primo pensiero che capita: il web marketing in grado di generare valore richiede tempo, strutture, energie e programmazione. Potremmo dire, quindi, che avere dei follower presuppone sicuramente delle abilità e apre a importanti possibilità (nuovi clienti, più guadagni, più informazioni). Ma attenzione: parliamo di abilità di web marketing, appunto. Al contrario, essere bravi nel proprio mestiere non significa automaticamente successo sui social. Quante botteghe, quanti negozi o ristoranti hanno storie radicate sul territorio ed, eppure, una comunicazione social non proprio attraente?
Dovremmo allora chiederci cosa ci aspettiamo tra la presentazione online di un servizio o un prodotto e la realtà. Dovremmo chiederci quali sono i fattori che ci spingono a seguire una pagina, mettendo like e lasciando recensioni positive. E torniamo al punto di partenza: sto apprezzando una strategia social o sto apprezzando il prodotto o il servizio che ho acquistato?
Il dermatologo che ha un’ottima comunicazione online, è davvero lo specialista che fa al caso mio? È davvero così sorridente e dinamico come appare nei video che produce? L’immagine che questo medico mi propone di sé stesso condizionerà la mia fiducia? E se alla fine scoprissi che, dal vivo, non è così bravo e disponibile come sembra?
3) La riprova sociale di Cialdini applicata ai social network determina vincitori e sconfitti
Con l’espressione “level playing field” si indicano quelle situazioni in cui tutti i giocatori all’avvio della partita hanno le stesse possibilità di successo. Si tratta di un ideale spesso soltanto teorico (il fatto che si giochi 11 contro 11 in campo neutro partendo dallo 0 a 0 non garantisce che il Manchester United abbia al fischio d’inizio le stesse probabilità di vittoria del Cagliari) che è però essenziale per il buon funzionamento della libera concorrenza e dell’economia di mercato.
La riprova sociale è un grande nemico del “level playing field”, specialmente nel mondo dei social e del web marketing. Gli algoritmi tendono a premiare, infatti, le pagina che hanno una platea di pubblico più ampia e coinvolta. L’utilizzo dei social network a scopo commerciale richiede, peraltro, il pagamento di sponsorizzazioni. Ne deriva che chi ha più capacità economica avrà più possibilità di successo. Se la piccola bottega prova, come può, a promuovere i suoi prodotti online, non potrà avere lo stesso successo di un’impresa che ha investito in nella creazione di un dipartimento di web-marketing.
La riprova sociale determina il crearsi di una condizione dove la squadra che ha vinto la prima partita guadagna il diritto a giocare la seconda con un uomo in più e così via. Si crea così una dinamica per cui i più forti rimangono i più forti, indebolendo la competenza. La grande catena di supermercati avrà un budget significativamente maggiore da spendere in ads rispetto ad un anche rinomato market locale. Potrà dunque aggredire il pubblico in modo più deciso.
Tutti noi sperimentiamo questi effetti nella nostra vita di ogni giorno, con più o meno consapevolezza. La riprova sociale o “effetto gregge” non è comunque un mostro e non è un nemico. È un meccanismo naturale di persuasione reso però potentissimo e quindi pericoloso dal contesto culturale e tecnologico in cui siamo immersi. La buona notizia è che la consapevolezza delle nostre scelte offre a ciascuno di noi preziosissimi margini di libertà e di autodifesa.
Lorenzo Cavalieri
Coach e consulente di formazione manageriale
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