Lo smart working e il maggior impiego del nostro tempo di lavoro in modalità autonoma ci ha spinto a modificare in duplice modo i nostri comportamenti.
Innanzitutto, ci ha costretto ad un utilizzo di strumenti digitali per svolgere tutte le attività connesse al nostro lavoro. In secondo luogo, ci ha fatto scoprire anche che, per raggiungere risultati, dobbiamo cambiare il nostro modo di lavorare. È il passaggio dal lavoro in sede, per tempo, al lavoro autonomo per obiettivi.
La più famosa frase di Mcluhan è “Il mezzo è il messaggio”. Con ciò intendeva dire che, cambiando il mezzo di comunicazione, si cambia implicitamente anche il messaggio comunicato.
Ebbene, possiamo affermare la stessa cosa per il lavoro? Cambiando il contesto cambiano anche i risultati che otteniamo? E cambia anche necessariamente il modello organizzativo?
Io penso di sì. Molti hanno osservato, ad esempio, che effettuare una riunione in presenza non dà l’identico risultato (in termini di percepito, di convincimento, di motivazione ad agire) della stessa riunione on line. In digitale si perde gran parte del non verbale, si ha una relazione più attenuata e più formale, si perdono gli interscambi informali a latere dell’incontro che, anche se non attinenti, facilitano la successiva comunicazione e l’instaurarsi di una utile relazione. Di conseguenza finiamo, ad esempio, col percepire qualcosa di diverso o di meno o più significativo in contesti differenti.
Che fare allora? Difficilmente opereremo come facevamo prima di questi due anni. Lavorare a distanza presenta anche molti vantaggi.
A mio parere, dovremmo sicuramente migliorare le nostre tecniche nell’utilizzo degli strumenti digitali e costruirci un adeguato “Digital Mindset”. Nel caso di specie dovremmo abituarci ad esempio a chiedere che il video venga attivato, a favorire attraverso presentazioni e battute l’istaurarsi di un clima positivo anche a distanza, a utilizzare lo zoom che ci consente di cogliere dal volto le espressioni di chi parla, ad avvalerci di documentazione integrativa e a fare in modo che gli argomenti siano ancora più chiari e condivisi … . Tutto questo richiede un nostro sforzo, ma anche formazione e allenamento.
In secondo luogo dovremmo aumentare – anche pretendendolo dall’azienda – il nostro livello di autonomia nel lavoro. Dovremo chiedere di essere valutati in base a risultati piuttosto che a comportamenti, divenuti peraltro più difficilmente osservabili.
L’autonomia è il prodotto di una sorta di educazione (Senge la chiamava “Padronanza personale”) che in qualche modo va appresa.
Le aziende, nel nuovo contesto, non potranno che attenuare la cultura della “dipendenza” (la necessità di essere sempre autorizzati, di conoscere solo il compito al di là del contesto e delle finalità, di essere carenti di informazioni, di essere scarsamente coinvolti, …) a vantaggio della cultura della “responsabilizzazione” sui risultati e dell’”autonomia” nel rispetto certamente dei valori, dei principi, delle politiche e delle direttive aziendali.
Oltre alla cultura digitale serve quindi formazione sulla cultura dell’autonomia per facilitare un cambiamento, che potrà essere vantaggioso sia per le aziende che per i collaboratori. Solo in questo modo il lavoro autonomo diventerà davvero efficace.
Angelo Pasquarella
Presidente Projectland
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