È ormai un fatto noto che l’intelligenza artificiale ha trovato negli ultimi decenni una diffusa applicazione, prima quale strumento di supporto, poi addirittura in sostituzione del lavoro dell’uomo, in virtù dell’accuratezza e dell’efficienza che taluni software hanno dimostrato.
La conseguente perdita di controllo dell’operatore umano (dell’utilizzatore, del produttore ovvero dello sviluppatore del software) sul processo decisionale e sul comportamento dell’algoritmo ha tuttavia sollevato una serie di interrogativi, piuttosto complessi ed in molti casi ancora irrisolti, in ambito giuridico, stante l’assenza di un intervento chiarificatore del legislatore sul tema.
Sul piano del diritto penale, in particolare, il ruolo attivo dell’algoritmo rischia di scardinare i meccanismi imputativi di fatti oggettivamente offensivi in quanto risulta sempre più difficile ricondurre i risultati dell’operatività di un sistema informatico alla responsabilità di una persona fisica.
La complessità di tale tematica si è già posta in termini pratici nel contesto finanziario dove, non solo l’esecuzione delle transazioni, ma la stessa decisione di compierle è affidata ad un calcolo di tipo matematico generato da un programma informatico che si determina in piena autonomia, identificato comunemente con l’acronimo HFT (High Frequency Trading). Si tratta, in sostanza, di sistemi informatici in grado di effettuare autonomamente ordini di acquisto e di vendita sulle piattaforme di trading affidando ad un algoritmo la valutazione dell’impatto di tutte le possibili variabili rilevanti per una data operazione finanziaria e rimettendo allo stesso algoritmo ogni conseguente decisione su tempistica, quantità e prezzo dell’ordine.
La riflessione sulla possibile dannosità degli “operatori algoritmi” ha preso le mosse da fenomeni di improvvisa e rapidissima alterazione dei prezzi dei titoli dovuti proprio all’azione contemporanea di questi algoritmi di trading (c.d. Flash Crash).
Queste improvvise turbative infatti non dipendono da fattori economici reali, ma sono legate alle procedure tecniche di funzionamento degli scambi dal punto di vista informatico: gli operatori algoritmici infatti, grazie alla propria velocità operativa, rendono possibili vorticose oscillazioni dei prezzi di titoli quotati e di fronte a tali picchiate dei prezzi riescono a vendere per primi e ricomprare i titoli al momento del rimbalzo, anticipando le contromosse di qualsiasi operatore fisico.
Gli HFT si caratterizzano dunque per indubbi privilegi operativi che aprono il campo a potenziali condotte illecite di manipolazione di mercato (di cui all’art. 185 T.U.F.):
- “dirette” qualora il programmatore impartisca all’algoritmo istruzioni che lo inducano direttamente a porre in essere operazioni manipolative;
- “indirette/mediate” in caso di manipolazione perpetrata da altri operatori (magari proprio tramite algoritmi ad alta frequenza), qualora questa manipolazione sia poi intercettata in quanto “informazione” da altri operatori algoritmici, innescandosi così una reazione a catena;
- mediante ulteriori modelli di turbativa del mercato direttamente collegati alle straordinarie prestazioni degli algoritmi. Si pensi all’ipotesi in cui un algoritmo immetta e cancelli migliaia di ordini in quantità tali da determinare un rallentamento degli altri operatori e dello stesso gestore dei mercati interessati, accrescendo così il proprio vantaggio competitivo.
Sotto altro profilo, si deve osservare che gli HFT possiedono anche un privilegio conoscitivo poiché, essendo in grado di rielaborare un ingente numero di dati e informazioni, creano nuovi scenari di mercato, di cui peraltro vengono per primi a conoscenza.
La tematica si incentra, quindi, sul definire a quali condizioni possano essere individuate responsabilità del singolo operatore finanziario che si serva di tali strumenti. La risposta è più immediata in cui il programmatore o l’installatore dell’algoritmo impartisca istruzioni manipolative illecite che nel corso del tempo il programma attua realizzando una distorsione dei prezzi. Maggiori problemi di riconduzione del fatto all’autore si pongono laddove invece l’illegittimo intervento sul mercato consegue a scelta autonome dell’algoritmo, non potendo sussistere in capo alla persona fisica quantomeno l’elemento soggettivo doloso.
Va peraltro ricordato che, oltre alla responsabilità penale dell’autore, l’ipotesi di manipolazione di mercato può determinare anche il diretto coinvolgimento dell’ente intermediario finanziario, presso il quale l’operatore opera, ai sensi della disciplina prevista dal D.lgs. 231/2001; disciplina che nel breve periodo sarà chiamata a misurarsi anche con la nuova applicazione dei programmi di intelligenza artificiale.
Stefano Rapizza
Avvocato, esperto in diritto penale dell’impresa
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