“Il tempo è tiranno” si dice da sempre, ed è sempre più vero.
Questo è forse il primo motivo per cui, a differenza di una volta, gli uffici di formazione avvertono da parte dei colleghi una certa resistenza a partecipare anche ad ottimi corsi.
La formazione viene qualche volta vissuta, sia dai destinatari che dai loro capi, come un elemento che sottrae tempo più che aggiungere opportunità di risparmiarlo.
In secondo luogo si insinua in modo strisciante il dubbio che molta formazione si consumi all’interno di un mondo virtuale, fatto di teoria e lontano dalle difficoltà che incontriamo quotidianamente sul lavoro.
Questi luoghi comuni, che però sono spesso diffusi e ben noti a chi si occupa di formazione, derivano dalla presenza di tre barriere all’apprendimento:
- la barriera motivazionale (è impossibile apprendere alcunché se non sono motivato a farlo, cioè se non credo che mi possa essere utile)
- la barriera cognitiva (anche se sono motivato debbo necessariamente capire, e non è scontato)
- la barriera applicativa (anche se sono motivato e ho capito non è detto che automaticamente sappia applicare nel mio contesto di lavoro ciò che ho appreso).
Fare questa strada dall’astratto al concreto è molto faticoso per ogni partecipante. Perché il sentiero da percorrere è in gran parte lasciato ai diretti interessati. Ecco perché Projectland crede ed ha investito in quella che chiama formazione concreta che rovescia il paradigma delle tre barriere partendo da una precisa situazione aziendale per verificarla nella pratica, razionalizzarla concettualmente e, attraverso la prova che scaturisce dai risultati, indurre la motivazione ad appropriarsene.
Si affronta così per prima la barriera applicativa (la più difficile), per razionalizzare il processo superando la barriera cognitiva e rafforzare la convinzione che ciò che è stato fatto è corretto attraverso la correttezza del risultato conseguito. Se l’abbiamo fatto, il metodo funziona!
Si potrebbe però osservare che mentre l’obiettivo della formazione è l’apprendimento, la consulenza normalmente presidia e supporta obiettivi aziendali. E’ vero. Ma anche il tradizionale approccio consulenziale ha oggi la stessa efficacia di un tempo?
Nella società in cui il fattore critico di successo è rappresentato dall’eccellenza delle competenze, dal coinvolgimento delle risorse nei continui processi di innovazione, dall’energia anche emotiva trasfusa nei progetti, si può pensare che ottimi risultati possano essere conseguiti senza l’attiva partecipazione delle persone direttamente coinvolte nei processi aziendali?
I limiti del tradizionale approccio consulenziale stanno nel fatto che, per prassi consolidata, le società di consulenza hanno troppo spesso visto la formazione come il terminale comunicativo di analisi effettuate e di decisioni già prese e non come un indispensabile strumento integrato in ogni processo di trasformazione.
Siamo convinti che da questo difetto di origine dipenda il sostanziale insuccesso di molti interventi e molti cambiamenti, rimasti per anni “sulla carta”.
Il tempo della formazione e quello del lavoro coincidono. Non solo il tempo non è più tiranno ma anche l’apprendimento non è più un lavoro a se stante.
Ci siamo ispirati alla prassi nata in General Electric durante la direzione di Jack Welch e alle metodologie di action learning.
Il workout consiste in una serie di sessioni in cui i partecipanti (con l’aiuto di un facilitatore e di un formalizzatore) hanno l’obiettivo di conseguire un risultato aziendale definito (normalmente l’output di un progetto). Durante il percorso vengono usate, messe in evidenza e razionalizzate le metodologie e le tecniche di lavoro per progetti necessarie per portare a termine il progetto stesso.
Si tratta quindi di un corso volto a trasferire competenze in materia di lavoro per progetti che si concretizza nella prassi della sua stessa realizzazione e si razionalizza attraverso gli interventi del facilitatore.
La misura dell’apprendimento è data dall’output di progetto. Il numero di partecipanti dipende dal progetto e dalla sua durata prevista, ma un’ipotesi ottimale va da 3 ad 8 persone. Il tempo necessario per realizzare il workout va, a seconda della complessità e grandezza del progetto, da 6 a 10 mezze giornate con un intervallo medio di 10 giorni tra un incontro e l’altro.
La cultura sottostante all’HelPAI (aiuto nei Piani d’Azione Individuali) è quella che va dall’empowerment al coaching. Il risultato aziendale che l’intervento formativo persegue, in questo caso, è l’adeguamento delle capacità personali e/o professionali ad un nuovo ruolo conseguente a provvedimenti di mobilità orizzontale o verticale.
In questa tecnica il piano individuale viene diviso in fasi, vengono definiti i risultati attesi intermedi e stabilite le metodologie di verifica in modo che il partecipante abbia consapevolezza del sentiero da percorrere, delle metodologie sperimentate e dei risultati conseguiti dall’applicazione di ciò che ha appreso.
Normalmente si tratta di un intervento individuale ma, qualora i percorsi dei partecipanti siano identici, sono possibili anche interventi in gruppi di 2-3 persone.
E’ sempre anteposto un modulo di durata variabile volto a verificare e rafforzare le motivazioni al cambiamento del partecipante/i.
La misura dell’apprendimento è data dai risultati delle rilevazioni effettuate nelle singole fasi e in quella finale.
Il tempo necessario va, a seconda della complessità del percorso, da 6 a 8 mezze giornate con un intervallo medio di 15 giorni tra un incontro e l’altro.
E’ l’ideale nei processi di riconversione.
La cultura sottostante è quella del coaching. Si tratta della modalità concreta per sviluppare delle soft skill e quindi si adatta con tutte le tradizionali tematiche a queste connesse: decision making e problem solving, negoziazione, gestione del colloquio (in sistuazioni specifiche), team Performance (può essere fatto anche in presenza del facilitatore), gestione collaboratori, gestire riunioni, ecc.
Facciamo un esempio. Posso fare un corso di decision making, sperando successivamente di applicare le tecniche per prendere delle decisioni migliori. Dovrò però superare le tre barriere (credere, capire e applicare). Con la formazione concreta si parte dalle decisioni che ho sul tavolo per sperimentare tecniche e metodologie, che nel contempo mi vengono illustrate anche concettualmente. Aumentano così le probabilità di apprendimento e di successivo utilizzo (se avranno dato buoni risultati).
Gli interventi sono individuali.
La misura dell’apprendimento è data dai concreti risultati conseguiti.
Il tempo necessario varia a seconda dei risultati attesi che si vogliono conseguire.
L’attuale contesto economico, impone una continua sfida per acquisire nuova competitività e per mantenere il conseguente vantaggio. Una delle sfide che le risorse umane sono chiamate ad affrontare è data dal mantenimento, la gestione e lo sviluppo del “know-how”.
Le conoscenze strategiche, legate a particolari ruoli o funzioni, rappresentano un vantaggio competitivo e una leva per il successo dell’azienda; a patto che esse vengano identificate rapidamente ed altrettanto celermente vengano attuate delle soluzioni praticabili per il loro mantenimento.
Il mentoring ed il reverse mentoring promuovono la diffusione del “know-how” e favoriscono contestualmente l’aumento delle competenze e il miglioramento della performance organizzativa dei collaboratori. Infatti:
- entrambi si propongono di sostenere lo sviluppo individuale all’interno di un contesto nel quale il mentor/reverse mentor hanno esperienza
- il mentoring valorizza l’esperienza del professionista e ne fa “cinghia di trasmissione” per coloro che vivono il contesto da meno tempo e/o devono acquisire nuove competenze
- il mentor è una guida che si prende in carico il mentee nella sua globalità e offre un sostegno sia a livello professionale che a livello psicologico.
Projectland ha elaborato un progetto finalizzato a rendere più efficiente ed efficace il processo di mentoring e reverse mentoring attivato dalle imprese in quanto per tutto il processo l’impresa, il mentor e il mentee vengono affiancati da un facilitatore/psicologo del lavoro e supportati da un formalizzatore.
Definendo puntualmente strumenti, ruoli, tempi e risultati attesi del processo e pianificando l’attività di monitoraggio e valutazione è possibile raggiungere trasferire il “know-how” all’interno dell’organizzazione in tempi relativamente brevi.